A Pozzuoli nasce una sartoria etica dentro al carcere, perché “chi ha sbagliato merita una seconda opportunità”
Secondo Giuseppe Guerini, Presidente di Alleanza Cooperative Sociali, numeri alla mano, soltanto il 10% dei detenuti che ha partecipato attivamente a un programma di reinserimento sociale e lavorativo dall’interno del carcere, cadrà nella recidiva del reato.
Mentre la soglia si alza al 90% se chi è detenuto sconta la pena senza far nulla se non aspettare il tempo che manca alla scarcerazione.
Numeri impressionanti che, considerando il fatto che la popolazione carceraria in Italia è stimata ad oltre 54mila detenuti (Fonte: Redattore Sociale) ci indicano una strada obbligata per una società migliore e più sicura.
Tra le tante aziende e cooperative che operano nel settore della redenzione carceraria, ce n’è una che fa del recupero e del ricircolo la sua missione. Si tratta della Palingen Srl, una start-up innovativa a vocazione sociale (SIAVS) nata dall’idea di due cugini che hanno provato a mettersi in gioco nel modo più sfidante ma allo stesso tempo entusiasmante, facendo impresa con l’obiettivo di generare un impatto sociale positivo.
Nel loro sito sono indicati i punti cardini della loro mission: “Elevare la dignità delle persone tramite il lavoro e l’insegnamento dell’arte della sartoria italiana”. In sintesi, un laboratorio innovativo e creativo all’interno del carcere di Pozzuoli, impiegando detenute. Ma questo a loro non bastava: volevano che il recupero avvenisse anche simbolicamente verso le materie prime che utilizzano per confezionare i loro manufatti, ed ecco che quindi la Palingen diventa una sartoria etica e sostenibile, dando una seconda possibilità anche ai tessuti che utilizzano, materiale considerato di scarto ma che con loro riprende vita. E dignità.
Abbiamo incontrato l’amministratore unico dell’azienda: Marco Maria Mazio, a cui abbiamo chiesto cosa è Palingen, e i suoi numeri, intenti e progetti di una iniziativa imprenditoriale e sociale che potrebbe indicare a molti altri la strada del recupero, non solo materiale.
“Palingen nasce nel Dicembre del 2019 e dal Febbraio 2020 abbiamo ottenuto la gestione del laboratorio sartoriale presente all’interno della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. Durante tutto il 2020 abbiamo supportato l’amministrazione penitenziaria e le detenute nell’attività di produzione di mascherine per prevenire la diffusione del Covid-19, successivamente donate dal carcere ad alcune associazioni e comunità locali. Poi, a quest’ultima attività hanno partecipato dieci detenute. A partire da Maggio del 2021, abbiamo iniziato ad operare, tramite la gestione dello stesso laboratorio, come una vera sartoria etica e sostenibile, fornendo servizi di produzione sartoriale ad aziende attive nel comparto moda, ma soprattutto con l’obiettivo di dare una seconda possibilità a donne in difficoltà agendo simbolicamente anche sui tessuti altrimenti destinati allo scarto”.
Come si lavora a contatto con le detenute?
Per noi non esistono scarti ma solo opportunità perse.
“Noi Crediamo che chi ha sbagliato abbia il diritto di riscattarsi e che la miglior forma di sostenibilità sia la rielaborazione creativa dei rifiuti tessili.
Le detenute assunte al momento sono otto ed abbiamo già dovuto sostituirne due che hanno ottenuto la scarcerazione. Dunque, ad oggi sono passate poco meno di venti detenute per la sartoria”.
Ci ha molto colpito il marchio We are Napoli, che abbiamo visto campeggiare in alcune vostre produzioni. Come nasce?
“We are Napoli è il city brand della città di Napoli nato con l’obiettivo di riposizionare la città, lavorando per un impatto umano più profondo. Il tavolo di lavoro, presieduto da una professionista del settore del calibro di Antonella Di Pietro, si pone come obiettivo quello di progettare, attraverso esso, una nuova visual identity per la città, rispettando la sua storia e cultura, cercando di stimolare nei cittadini la percezione di una Napoli che era stata definita da Elsa Morante – la più civile delle città italiane – per l’immensa umanità del popolo napoletano e la grande inclusione e diversità, tratti distintivi e vera ricchezza di questo luogo”.
In questo vostro progetto, siete aiutati dalle istituzioni?
“Decisamente sì! Sia l’amministrazione della Casa Circondariale femminile di Pozzuoli, diretta dalla Dott.ssa Maria Luisa Palma, sia la Cassa delle Ammende, ente pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia, ci hanno sin da subito fornito supporto è collaborazione nell’avviamento di questo non facile progetto. Tuttavia, una cosa che già sapevamo, e che abbiamo confermato, è che c’è molto potenziale inespresso nelle persone detenute all’interno delle carceri italiane che dovrebbe essere maggiormente stimolato e alimentato, tramite l’esperienza lavorativa, al fine di consentire una più rapida rieducazione del reo e, soprattutto, facilitarne il suo reinserimento nel mercato del lavoro. In questo modo potremmo evitare il più possibile i casi di recidiva. Semmai, io direi che sarebbe auspicabile che il legislatore italiano sollecitasse l’ingresso di imprese private all’interno dei penitenziari, soprattutto quelle artigianali, ed aumentare il numero delle persone ammesse al lavoro durante la detenzione, diminuendo i tempi e le difficoltà burocratiche relative e fornendo agevolazioni fiscali alle stesse imprese”.
Ci sono storie immaginiamo difficili e tutte diverse tra le vostre lavoratrici. Ci puoi raccontare una storia tra le tante che ti ha colpito e che è il simbolo della rinascita?
È vero, le ragazze che collaborano con noi hanno tutte dei trascorsi alle spalle molto difficili. La storia che mi ha colpito di più è stata quella di una ragazza immigrata della Nigeria, giunta in Italia qualche anno fa con il desiderio di lavorare ed integrarsi in Italia per ambire ad avere un futuro migliore rispetto a quello che le si prospettava in Africa. Mentre si destreggiava tra un lavoretto precario e l’altro, si innamora di un uomo, sedicente imprenditore, che le propone di lasciar stare i lavori che stava svolgendo per aiutarlo nelle sue attività. Lei cede, trasportata anche dal sentimento che provava per lui e, di li a poco, si ritrova, inaspettatamente, a custodire ingenti quantitativi di stupefacenti ed armi in casa, esposta al rischio di essere arrestata dalle forze dell’ordine oppure presa di mira da altri criminali. Verrà arrestata, insieme al suo compagno, qualche mese dopo. L’arresto per Lei è stata la sua salvezza, l’ha tolta dal pericolo e le ha fatto capire che aveva sbagliato a lasciarsi indurre nell’errore e a non ribellarsi contro chi non aveva fatto altro che approfittare di lei. Da qualche settimana collabora con noi nella sartoria, è consapevole di aver commesso un errore e, nonostante soffra tantissimo per il periodo duro che sta attraversando, è determinata nel volersi riscattare ed è entusiasta all’idea di imparare un mestiere che le consentirà, al termine della pena, di riprendere in mano la sua vita e realizzare il sogno di vivere e lavorare in Italia. Una volta, mentre lavorava in sartoria, mi ha detto – il mio futuro sarà pieno di colori, perché al momento la pioggia cade su di me ma presto la pioggia finirà e quando uscirò di qui e per me spunterà il sole ci sarà l’arcobaleno”.
Dove state andando con la vostra impresa, e dove volete arrivare?
“Al momento stiamo avviando diverse collaborazioni con aziende che hanno a cuore il tema della sostenibilità ambientale e dell’inclusione sociale per la creazione di collezioni altamente etiche e sostenibili. La fiducia concessa e il know-how che ci viene trasmesso dai brand partner ci sta dando la possibilità di perfezionarci giorno dopo giorno sempre di più nella produzione artigianale di accessori e capi di abbigliamento. Questa crescita permetterà, innanzitutto, alle ragazze di non avere nessun gap formativo quando si affacceranno al mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è questo: diventare una sartoria sociale di riferimento per aziende e designer che desiderano dare un valore aggiunto alle loro creazioni contribuendo positivamente alla società e all’ambiente nonché quello di assumere e formare un sempre maggior numero di detenute”.
Che effetto ti fa lavorare a stretto contatto e in libertà con chi per mille ragioni questa libertà non ce l’ha. Che sensazioni ti porti dentro ogni volta che varchi in ingresso e in uscita il carcere
“Mi sento un privilegiato. Privilegiato perché ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un contesto e con delle possibilità che mi hanno tenuto lontano dall’ “errore”. Molti di noi lo danno per scontato, ma non lo è affatto. Ci sono contesti sociali e situazioni personali che queste possibilità non te le offrono e quindi ci sono maggiori probabilità di sbagliare. Questo ci deve far capire che il pensiero comune, secondo cui chi ha sbagliato e ha commesso un reato sia una persona di valore inferiore che non merita altro che una severa punizione, è sbagliato. La vita non offre a tutti le stesse possibilità e chi ha sbagliato merita una seconda opportunità per riscattarsi. Più il nostro progetto va avanti e più mi convinco che è giusto che la fortuna e le competenze vadano condivise per offrire ad altri le possibilità che gli sono state negate”.
Mauro Valentini
Per informazioni e contatti: https://www.palingen.it/