Il Lazio torna arancione con dati peggiori di quando entrava in zona rossa. Sembra un paradosso ma, basta guardare i dati, così non è. Domenica 14 marzo infatti, un giorno prima di subire le restrizioni della zona di rischio più alta, la percentuale di pazienti Covid in terapia intensiva, sebbene al limite, era al 29%, al di sotto della soglia critica fissata al 30%. I ricoverati in T.I. erano 293 mentre i pazienti non gravi erano 2.297. Infine i posti letto in area medica: qui la percentuale di occupazione era al 34%.
Lazio in zona arancione: ma numeri “peggiori” di 15 giorni fa. Come è possibile?
A destare forti dubbi è proprio il meccanismo che porta alla classificazione delle zone di rischio delle Regioni basato sul report settimanale diffuso dal Ministero della Salute ogni venerdì.
I dati si riferiscono infatti, nella migliore delle ipotesi, alla settimana precedente ma c’è di più: il valore RT, tra i parametri utilizzati per determinare il passaggio di “fascia”, va indietro di oltre 15 giorni rispetto alla pubblicazione del report.
Risultato: c’è il rischio – che come vediamo è quasi certezza – che vengano applicate restrizioni (o viceversa allentate) applicandole a periodi temporali che spesso non corrispondono al reale andamento dell’epidemia. Un problema già sottolineato tra queste pagine e che oggi porta il Lazio a tornare arancione – e dunque tutti pensano a un miglioramento della situazione – con dati invece peggiori di 15 giorni fa quando entravamo in zona rossa.
Ricordate la famosa frase dell’Assessore Regionale alla Sanità Alessio D’Amato all’indomani dell’ingresso in zona rossa? «Ci chiudono per dati vecchi di 14 giorni». Ecco, valeva in quella circostanza, vale ancora oggi.