Questa mattina gli agenti della Polizia di Stato di Latina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma nei confronti 4 soggetti. Gli arrestati sono tutti indagati a vario titolo per la morte di Massimiliano Moro. Le accuse si riferiscono all’omicidio commesso a Latina la sera del 25 Gennaio 2010 all’interno dell’abitazione della vittima, con una pistola calibro 9×19.
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Le indagini
Le indagini costituiscono l’epilogo di un approfondimento investigativo che i poliziotti della Squadra Mobile di Latina, unitamente al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione distrettuale Antimafia di Roma, stanno conducendo nella Provincia di Latina, anche rispetto alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia.
L’attuale inchiesta si riconnette alle indagini condotte all’epoca dai poliziotti, attraverso l’ausilio di intercettazioni e l’analisi di tabulati telefonici. Le informazioni sono state arricchite da nuovi riscontri emersi che permettono di ipotizzare come l’omicidio in argomento sia stato commesso con metodo mafioso e per finalità di agevolazione mafiosa.
La faida mafiosa e l’omicidio
Il grave delitto viene inquadrato nella faida scoppiata nel 2010 nella provincia di Latina, fra le famiglie Rom Ciarelli-Di Silvio, da un lato, e gruppi non Rom facenti capo a 2 soggetti dall’altro. La vittima dell’omicidio era stabilmente integrata nel secondo gruppo, ed era volta ad ottenere il controllo delle attività criminali del territorio pontino. Nell’ambito di tale faida, denominata cosiddetta Guerra Criminale Pontina, l’omicidio del Moro ha costituito il punto centrale di una serie di condotte criminali che, prima o dopo di esso, hanno determinato l’affermarsi sul territorio pontino di clan familiari caratterizzati dalla capacità di porre in atto un potere di intimidazione tipico delle organizzazioni mafiose. In particolare, l’omicidio del Moro è stato messo in atto dalle famiglie Ciarelli e Di Silvio (di origini rom) come una delle risposte al tentato omicidio di Carmine Ciarelli, un apicale del clan.
Proprio l’agguato subito da quest’ultimo, la mattina del 25 gennaio 2010, ha segnato l’avvio di un nuovo e più forte sodalizio fra le due famiglie, che ha determinato un’immediata e spietata risposta criminale, al fine di riaffermare il proprio potere a scapito di quelle forze contrarie che avevano deciso di minarlo con un atto così eclatante.
Il quadro completo: l’omicidio di Moro e l’unione delle famiglie Ciarelli – Di Silvio
L’omicidio del Moro è solo uno dei più gravi tasselli della risposta del sodalizio Ciarelli – Di Silvio, comprendente anche l’altrettanto immediato omicidio di Fabio Buonamano ed il tentato omicidio di Fabrizio Marchetto, avvenuto circa un mese dopo. Quest’ultimo era formalmente diretto a vendicare la pregressa uccisione di Fernando Di Silvio detto il “bello”, nonché, da ultimo, il tentato omicidio di Gianfranco Fiori, perché ritenuto uno dei materiali esecutori dell’agguato nei confronti di Carmine Ciarelli.
Ebbene, proprio il tentato omicidio del Ciarelli segna il sorgere del sodalizio dell’associazione a delinquere Ciarelli – Di Silvio, come riconosciuto nella sentenza emessa nel processo cosiddetto Caronte, il cui programma non era solo quello di commettere delitti ma di riaffermare con violenza e minaccia il controllo del territorio a Latina, che è uno degli elementi cardine del potere delle consorterie di stampo mafioso.
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Il Moro, peraltro, aveva chiaramente manifestato l’intenzione di ribaltare il potere delle famiglie Rom, sostituendosi alle stesse, e pertanto considerato un vero e proprio nemico del sodalizio. Infatti, nel corso di una riunione operativa con i propri sodali, aveva deciso di avviare un’azione di forza nei confronti dei Ciarelli, già nel 2007, e a seguito di uno schiaffo ricevuto dallo stesso Carmine Ciarelli nel corso di una lite per un debito non ancora pagato, prese la decisione di uccidere quest’ultimo e si suoi fratelli Ferdinando e Luigi. L’attentato a Carmine Ciarelli, come detto, fallì: ma le famiglie Rom Ciarelli e Di Silvio furono in grado di ricondurre presto l’agguato subito allo stesso Massimiliano Moro, il quale, secondo gli affiliati del clan Rom, si era anche macchiato della colpa di essersi sfacciatamente recato all’ospedale dove Carmine Ciarelli era stato ricoverato dopo l’agguato, per ostentare falsamente la propria solidarietà ai familiari del ferito. L’omicidio del Moro, dunque, veniva commesso al fine di agevolare l’associazione di stampo mafioso Ciarelli – Di Silvio, costituendo il delitto una chiara azione ritorsiva nei confronti della persona che era ritenuta una dei responsabili dell’agguato subito da Carmine Ciarelli, allo scopo di affermare il proprio potere in odine ai traffici illeciti sul territorio di Latina rispetto ai gruppi criminali antagonisti, costituiti da soggetti non di etnia rom.