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Chi siamo per gli altri?

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Sono perfetto, eppure…
Quante volte ci siamo chiesti il perché, nonostante il nostro essere “perfetti”, ci tornino indietro da parte degli altri solo atteggiamenti scorretti?
Siamo gentili, disponibili, brillanti; eppure ci ritroviamo soli in momenti di difficoltà, e le relazioni che siano sentimentali, lavorative o familiari non vanno nella direzione che vorremmo.
La modalità più rapida per alleggerire il malessere è di incolpare in qualche maniera gli altri, pensando che nessuno ci meriti, di conseguenza eliminiamo persone o, peggio, decidiamo di fingere un rapporto sano per “quieto vivere”.

Le maschere
Quello che noi vediamo non è la stessa cosa che vedono gli altri, la nostra prospettiva è inquinata dalla considerazione che abbiamo di noi e soprattutto, di chi ci circonda.
Se proviamo a chiedere “come mi vedi”? Riceveremo risposte diverse da persone diverse, secondo il vissuto che ci accomuna: inconsapevolmente, indossiamo una maschera per ogni ruolo che ricopriamo.
I familiari hanno una considerazione del tutto diversa dagli amici: le dinamiche emotive instaurate negli anni possono essere alterate da vecchi rancori o mancanze affettive.
Stesso discorso per il partner: di noi conosce la sessualità, la quotidianità, fatta anche di noia e di routine.
A lavoro, così come con gli amici o gli amanti, l’immagine di chi siamo sarà ulteriormente diversa.
Facciamo attenzione: non si tratta di recitare, ma di una fisiologica conseguenza del rapporto che viviamo.

Quello che mandiamo fuori, ci torna indietro
L’errore più grande che commettiamo quotidianamente è di credere di fare “la cosa giusta”, di essere realmente convinti che una nostra frase detta a quell’amico sia stata brillante, o che il consiglio dato a nostro fratello/sorella/genitore sia essenziale e assolutamente da seguire: ma perché mai dovremmo sentirci nel giusto? Chi l’ha detto, e sulla base di quale metro di valutazione?
Siamo sicuri che la persona che abbiamo di fronte abbia bisogno di un nostro parere? E siamo sicuri che sia giusto per il vissuto che ha?
Ricordiamoci che se trasmettiamo agli altri arroganza, ci tornerà indietro fastidio e freddezza; se trasmettiamo insicurezza, riceveremo poca fiducia e considerazione; se vogliamo fare gli uomini o le donne che non chiedono mai, riceveremo indietro rapporti brevi e poco appaganti.

L’incastro funzionale
Girano spesso sui social frasi ad effetto che ci spiegano come ogni persona abbia alle spalle un passato, e di stare attenti a non ferirla.
Tutti a condividere i link, ma mettere in atto è molto più difficile.
Di base la regola è semplice: noi non siamo migliori di nessuno, siamo diversi, nel bene e nel male.
Nel momento in cui ci troviamo di fronte una persona, la cosa da fare è mantenere un profilo basso. Fino a che non sappiamo chi è e cosa porta dentro l’altra persona, meglio evitare di strafare o stradire.
Altra regola di base: non sopravvalutiamo la nostra capacità di autoanalisi. Se così fosse saremmo tutti automedici, autoavvocati, autoprofessori, autopresidentidelconsigliodeiministri.
L’umiltà e accettazione dei limiti umani è una buona medicina per l’anima.
Le relazioni di qualsiasi natura, funzionano solo quando due “pezzetti” si incastrano senza forzature, con i tempi e il giusto rispetto.

Il mondo non è tutto cattivo: forse sbagliamo noi qualcosa?
Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno

Psicostress

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