La tragedia
Antonella era una bellissima bambina dai grandi occhi scuri, il sorriso dolce e le espressioni tipiche del passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza; ora i suoi organi permettono a tre bambini di proseguire nella crescita e diventare adulti.
Lei resterà per sempre così, piccola e sognatrice.
“Voleva essere la regina, la star di TikTok e c’è riuscita. È finita proprio come voleva lei”.
Sono queste le parole di Angelo Sicomero, 33 anni, il papà della piccola Antonella, la bambina palermitana di 10 anni morta dopo quella che è stata definita una “sfida” di soffocamento: una frase che racchiude tutto il mondo della piccola vittima, il suo voler essere “riconosciuta, vista”.
“Rubava sempre il cellulare a sua madre e scaricava TikTok. Allora ci siamo arresi. Ballava e cantava, scaricava tutorial per truccarsi o per acconciare i capelli. Avrebbe voluto fare l’estetista da grande”.
Antonella usava prendere il cellulare della mamma per scaricare i profili social che tanto amava, dalle indagini pare siano una decina e oltre, tra Facebook, Instagram e TikTok: nessuna novità per i genitori, che si dicono consapevoli della “passione” della loro piccola figlia.
Quando nel decimo compleanno le regalano un cellulare, Antonella probabilmente si sente libera di poter gestire tutti i profili per provare a diventare famosa nel web.
“Antonella era stata al cellulare in chat con le sue amiche, poi aveva fatto i compiti e avevamo cenato”. “Aveva chiesto una cintura”.
Come ogni sera, dopo cena Antonella va in bagno per fare la doccia, ma stavolta sceglie di farla senza la sorellina e porta con se una cintura.
Pochi minuti dopo verrà ritrovata in fin di vita.
Colpa dei genitori?
Di fronte a tragedie simili ci si chiede dove siano gli errori commessi, in cosa avranno sbagliato i genitori e quanto possa essere pericoloso un social network.
Ma se avessimo tutte le risposte, cosa cambierebbe? Serve a noi per “alleggerire” le ansie rispetto ai nostri figli anch’essi in probabile pericolo? Per scaricare le responsabilità su genitori meno bravi? O che uno strumento quale il cellulare possa contenere all’interno un possibile inferno?
Credo che dare la caccia alle colpe altrui non sia rispettoso, nessuno di noi sa come hanno seguito Antonella, non eravamo a casa con loro.
Proviamo ad essere sinceri: lo smartphone ad oggi svolge il ruolo di baby sitter, di agenzia per trovare partners e di muro dove scrivere sfoghi rabbiosi.
Questi sono gli esempi che diamo.
Colpa dei social?
Dare la colpa al cellulare è come dire che se ci sono incidenti stradali è colpa della macchina. Non ha molto senso.
Ogni strumento che utilizziamo può diventare un’arma pericolosa, la differenza sta nel tempo che diamo allo strumento stesso e all’importanza, soprattutto.
Il punto che accomuna ognuno è la voglia di essere “visti”, di essere apprezzati tanto da spingerci all’uso di filtri per apparire giovani e tonici, di raccontare solo il bello delle giornate quando magari dietro la foto col sorriso stampato abbiamo un mare di problemi da risolvere.
Ma veramente ci mettiamo a giudicare un social o i genitori di una bambina, quando siamo i primi ad utilizzare il cellulare in maniera compulsiva?
Il tempo per vedere
Chiediamoci invece: cosa spinge una bambina a perdere la vita per una challenge?
Intanto credo che a spingere la piccola Antonella sia stata la sua voglia di farsi vedere, di essere notata tra le tante e questo desiderio probabilmente l’ha spinta in un gioco più grande di lei.
Antonella, così come tutti, aveva bisogno di tempo, di dialogo, di lentezza, di attenzione, considerazione, importanza.
Sentirsi visti vuol dire avere di fronte persone che riconoscano le nostre emozioni, che si accorgano quando siamo tristi, che ci chiedano “come stai?” “cosa posso fare per aiutarti?”. Ne abbiamo bisogno assoluto noi adulti, figuriamoci i bambini.
Ad ogni sorriso, sorridiamo con loro. Ad ogni incertezza, aiutiamoli. Parliamo senza fretta, guardiamo insieme un film, apprezziamo i loro disegni, riempiamo i loro vuoti con la presenza morbida e rassicurante.
I bambini, come gli adolescenti: devono essere visti da noi adulti, altrimenti cercheranno approvazione da un’altra parte.
Per farlo potranno anche mettere in pericolo loro stessi con incoscienza, certo; tuttavia sarà bene farci domande sulla qualità della nostra presenza insieme a loro: se li accompagniamo senza essere invadenti, se siamo per loro un punto di riferimento di cui fidarsi… Se invece anche noi cerchiamo riconoscimento e apprezzamento nelle chat, nelle storie e nelle challenge, loro non potranno fare altro che imitarci.
Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno