ROMA (ITALPRESS) – Nella prima metà del 2020 oltre il 14% dei lavoratori del settore privato non agricolo ha lavorato da remoto; nel 2019 era meno dell’1,5%. L’incremento ha riguardato soprattutto donne, lavoratori di grandi imprese e specifici settori a mansioni più “telelavorabili” (in particolare informazione e comunicazione, nonchè attività finanziarie e assicurative). E’ quanto emerge da uno studio di Bankitalia pubblicato nella serie “Note Covid-19 – Il lavoro da remoto in Italia durante la pandemia”, che analizza i lavoratori del settore privato; le imprese del settore privato e le amministrazioni pubbliche. Lo studio evidenzia che il numero dei lavoratori interessati è cresciuto da meno di 200 mila a 1,8 milioni e in media i dipendenti in smart working hanno lavorato più ore (6%) e hanno fatto meno ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG) rispetto a quelli che non hanno usufruito del lavoro da remoto.
Lo smart working è stato usato più dalle figure manageriali e impiegatizie rispetto agli operai e più dai diplomati e laureati rispetto a chi ha una licenza media o inferiore. Nell’ambito delle imprese del settore privato vi è una correlazione positiva, economicamente e statisticamente rilevante, tra il ricorso allo smart working e la quota di lavoratori che lo utilizzano da un lato e la telelavorabilità delle attività, la frazione di occupazione femminile, la retribuzione media e l’adozione di tecnologie cloud dall’altro. Il ricorso allo smart working ha consentito di limitare l’impatto negativo su produzione, fatturato e occupazione delle imprese, ciò è avvenuto in maniera molto eterogenea, in quanto l’utilizzo del lavoro da remoto dipende da: tipo di attività svolta, caratteristiche delle imprese, quali dimensione, dotazioni tecnologiche e infrastrutturali, capitale fisico e umano, esperienza sullo smart working maturata. Le imprese che utilizzano il lavoro da remoto sono aumentate dal 28,7% del 2019 all’82,3% del 2020.
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Covid, lavoratori in smart working saliti a oltre il 14%
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