E’ questo il testo della lettera che la comunità rom dell’area F di Castel Romano ha protocollato questa mattina in Campidoglio.
«Gentile sindaca Virginia Raggi,
siamo famiglie che da decenni vivono a Roma. Siamo mamme e papà, cittadini romani nati e cresciuti a Roma, la città che amiamo e sentiamo nostra e nella quale tutti noi abbiamo frequentato le scuole. Molti di noi sono cittadini italiani, i giovani lo diventeranno a breve.
La nostra è una storia di sofferenza e dolore, iniziata con la fuga dalla Jugoslavia e da quel momento condotta prima tra baracche e topi, poi dentro i recinti dei “villaggi” realizzati dall’Amministrazione Comunale.
Le vicende delle nostre vite si intrecciano con le pagine più buie della città di Roma. Nel settembre 1992 la Giunta Carraro ci sgomberò su un terreno fangoso a Tor di Valle. Poi il sindaco Rutelli ci trasferì nel nuovo campo di Tor de’ Cenci. Fu Luigi Lusi, delegato del sindaco, a deportare alcuni di noi nella Bosnia appena uscita dalla guerra ed una decisione della Corte Europea per i Diritti Umani a consentirci il ritorno in Italia in via Laurentina. Non senza disagi e sofferenza. Come pedine siamo stati sgomberati nel 2012 dal sindaco Gianni Alemanno e, dopo aver vissuto per settimane nell’ex Fiera di Roma, grazie ai lavori realizzati da Salvatore Buzzi, abbiamo fatto il nostro ingresso nel “villaggio” di Castel Romano, dove dal 2012 viviamo abbandonati al nostro destino, senza acqua, lontani dalla città, tra cinghiali, topi e cumuli di spazzatura.
Sulle nostre sofferenze tanti politici hanno costruito la loro carriera politica e diverse associazioni hanno visto garantito il loro bilancio.
Forse proprio per questo è utile ancora a molti additarci come criminali, come persone che non vogliono includersi, come soggetti culturalmente diversi.
Eppure noi sappiamo che non è così.
Nelle scorse settimane ci è stato notificato un foglio che ci intima di lasciare i container dove viviamo – l’Area F di Castel Romano – liberi da cose e persone entro il 10 settembre 2020.
Da quel giorno gli operatori della Sala Operativa Sociale ci stanno spingendo a sottoscrivere il Patto di Responsabilità Solidale, ma un aiuto per l’affitto in tempi così stretti e con le regole imposte, su di noi non avrebbe alcun effetto e lo sgombero resterebbe l’unica soluzione che ci ritroveremo davanti. Uno sgombero che metterebbe le nostre famiglie nuovamente sulla strada facendoci anche perdere l’opportunità di accesso alle “case popolari”. Una soluzione che né lei, né noi auspichiamo.
In realtà l’ordine di quel foglio di “lasciare i container dove viviamo” è anche la speranza più forte che nutriamo da anni. Siamo noi i primi a volerlo fare e per questo 30 delle nostre 35 famiglie hanno da tempo fatto domanda di casa popolare e, avendo punteggi molto alti, attendono fiduciosi la risposta. Altre famiglie, prima di loro, hanno già compiuto questo passaggio con successo negli scorsi anni.
Siamo qui per dare forza alla nostra voce da sempre inascoltata. Siamo qui presentarle la nostra proposta alternativa allo sgombero che oggi appare certo. L’idea nasce leggendo con attenzione la Memoria di Giunta n.38 da lei firmata il 9 luglio 2020 dove, parlando di noi, prevede per il nostro sostegno all’abitare la misura della “riserva ERP del 15% degli alloggi”. Trenta delle nostre famiglie hanno già fatto domanda di “casa popolare” e questo strumento, già praticato con successo dalla Giunta leghista di Ferrara quando, lo scorso anno, ha dovuto chiudere un campo rom, consentirebbe semplicemente, senza corsie preferenziali e in maniera assolutamente legale di accelerare il nostro accesso negli alloggi dell’edilizia residenziale pubblica. Molte delle famiglie residenti potrebbe così uscire dall’Area F di Castel Romano da subito, entrando, come è nel loro diritto, in una casa popolare.
Per le famiglie rimaste, 9 persone in tutto, le uniche che in condizione di irregolarità giuridica, non potrebbero avere accesso a questa misura, chiediamo invece una protezione umanitaria “a tempo” in strutture adeguate, senza divisione del nucleo, al fine di avere il tempo di regolarizzare la loro posizione e di reperire autonomamente una soluzione abitativa.
La proposta illustrata, che riprende quanto lei ha scritto, sarebbe una scelta di buon senso e di discontinuità con il passato che finalmente metterebbe fine al nostro “nomadismo forzato”, consegnando finalmente a tutti noi l’opportunità di sentirci pienamente in gioco nella città di Roma.
Vogliamo uscire dai ghetti che le passate Amministrazioni hanno costruito e mantenuto. Vogliamo sentirci parte di questa città, offrire il nostro contributo per la sua crescita e sviluppo. Roma è la nostra città. Una città che amiamo e nella quale vogliamo continuare a vivere e costruire il futuro nostro e dei nostri figli.
Non distrugga la nostra speranza con la stessa violenza con cui le ruspe potrebbero buttare giù le nostre abitazioni. Ci dia, oggi, l’occasione per cambiare finalmente il destino che altri hanno scelto per noi. Noi, ne sia certa, siamo disponibili a fare la nostra parte se anche l’Amministrazione romana sarà capace di fare la sua».