Mi chiamo Giovanni, ho 43 anni e vivo da solo.
Definirei il mio passato “abbastanza tranquillo”, non ricordo nessun evento particolare tanto da poter paragonare la mia esistenza ad una linea retta, pulita e senza curve.
Credo fortemente che essere padroni della propria vita eviti lo stress: eppure avverto tensione, come una lotta continua contro una spinta che inspiegabilmente arriva da dentro.
L’unica cosa che posso fare è continuare a scandire le giornate con dei ritmi stabili riuscendo a prevedere tutto il corso della giornata. Dalla mattina fino a sera.
Nel mentre io faccio sempre cose: mettere a posto le emozioni, aggiustarle, regolare, categorizzare in ordine di fatti e persone.
Non voglio altro.
Raggiungo uno stato di cose che definisco ingenuamente “equilibrio”.
Ogni mattina la stanza è buia, le tende sono calate: sono le 6:29.
Appena apro gli occhi, allungo la mano prima che suoni la sveglia. Tendo ad anticipare tutto. Dormo esattamente otto ore per notte.
Dopo il tg spengo la luce.
Esco dal letto, poggio a terra il piede destro, sento poco equilibrio nell’altro.
Se fa freddo o caldo non importa, non faccio caso alla temperatura fuori dalle coperte, è il mio cervello ad azionare il corpo e decidere i movimenti: la pelle resta silenziosa, segue i comandi in automatico.
Mi dirigo in cucina, prendo il caffè nella solita tazza che ho voluto già da ieri in posizione giusta. Non spreco il mio tempo inutilmente.
Avverto una costante agitazione interiore e mi sento al sicuro quando il mio ambiente è ordinato secondo le mie necessità.
Lavo i denti prima di fare la doccia, mi pettino dopo aver indossato gli indumenti intimi, in ultimo chiudo i bottoni della camicia.
In bagno ho disposto poche cose a vista, solo quelle utili: non tollero il superfluo.
Accanto alla porta d’ingresso tengo la borsa da lavoro e l’ombrello: voglio essere pronto a qualsiasi variazione.
Esco di casa.
Entro in auto, indosso la cintura si sicurezza ed accendo il quadro.
Prendo la medesima strada, le diverse situazioni di traffico non scalfiscono le mie certezze. Un brivido mi sale solo quando il traffico è bloccato, non tollero il ritardo anche se ho imparato ad affrontarlo: avverto sempre un quarto d’ora prima nel caso.
Tutte le mattine rivivo le scene come in un film, ogni angolo mi è familiare e riesco a notare ogni minimo cambiamento, che sia il cambio di insegna del negozio a sinistra o il marciapiede ancora più corroso dal tempo.
Ho un posto fisso auto, giunto nel parcheggio in pochi minuti sistemo la macchina e mi dirigo all’ingresso dell’ufficio.
Ho una postazione lavorativa solo mia, la scrivania ha le penne a sinistra ed il computer a destra, tra due ore farò la prima pausa e tra cinque la seconda: tra otto ore sarò fuori.
Saluto i colleghi, riprendo l’auto e faccio il percorso inverso: esco dal cancello dell’azienda, la farmacia, il dosso e la curva: stavolta a destra.
Ritorno a casa.
Preparo la cena e dopo il tg spengo la luce.
È sempre stato così.
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Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno