Depositate oggi le motivazioni della sentenza con cui la Suprema Corte di Cassazione ha deciso che quei due processi che hanno indignato l’opinione pubblica e umiliato Marco e la sua famiglia andavano cancellati. E dalle prime indiscrezioni comparse nelle più importanti agenzie di stampa, potrebbe esser molto diverso l’iter giudiziario della famiglia Ciontoli.
Su AGI (www.agi.it) infatti si legge: Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente”, osserva la Suprema Corte, “restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”: tutti, si legge nella sentenza, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”. Questa sequenza di azioni “rende chiaro”, osservano i giudici di piazza Cavour, che “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Marco Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”.
Ma non basta: “In ogni caso, presente o meno che fu al momento dello sparo, è certo che accorse subito sul luogo” e che quindi “ebbe sul fatto le stesse informazioni degli altri suoi familiari”. Ma non è tutto. Perché in un altro passaggio, sempre secondo AGI, tutto sembra concentrarsi sul comportamento di Martina, la fidanzata di Marco all’epoca dei fatti. Su di lei i giudici sembrano puntare il dito: “Si coglie anche più della reticenza” nel comportamento di Martina Ciontoli in relazione a un punto che emerge dalla ricostruzione investigativa sull’omicidio del suo fidanzato Marco Vannini. Infatti: “All’infermiera”, le cui dichiarazioni “sono state confermate da quelle dell’autista” dell’ambulanza, “una ragazza bionda, poi riconosciuta in Martina Ciontoli, non appena ella giunse presso l’abitazione della famiglia Ciontoli, disse di non sapere cosa fosse successo, perché lei non era stata presente”.
Sempre secondo le prime indiscrezioni, è proprio l’elemento di reticenza che ha colpito la Cassazione, e che riguarderebbe anche il comportamento di Maria Pezzillo, moglie di Antonio Ciontoli e madre di Martina, e di suo figlio Federico Ciontoli: “entrambi, al momento della prima telefonata al 118, “erano portatori di un sapere” perché “avevano appreso della versione del colpo a salve e, vera o falsa che fosse, non la riferirono benché richiesti”. La reticenza dunque, quella avrebbe ucciso Marco, non solo quel colpo di pistola sparato chissà perché.
Mauro Valentini