Un vecchio proverbio dice: “Paese che vai usanze che trovi” ma a volte le usanze ti uccidono, a volte una comunissima legge porta tanto dolore, oggi parliamo della “ragazza blu” Questo è il soprannome che è stato dato a una ragazza che amava il calcio, ma non solo come sport in sé, ma anche come simbolo di una libertà negata, la ragazza blu si chiamava Sahar, era una tifosa iraniana e indossava spesso la maglia blu dell”Esteglal di Teheran. Perché quella era la sua squadra del cuore, questa ragazza oggi non c’è più, il 9 di settembre è morta a causa delle gravissime ustioni che aveva riportato, dopo che si era data fuoco spontaneamente, per protestare contro la magistratura della Repubblica Islamica che aveva emesso contro di lei una condanna all’incarcerazione per ben sei mesi. La colpa di Sahar era di essere entrata nello Stadio Azadi che per ironia della sorte in persiano significa proprio “libertà”.
La squadra che Sahar amava seguire aveva le maglie blu, un colore che sul nostro pianeta Identifica il mare, il cielo, e tante altre cose belle di questa nostra Terra; oggi il blu viene celebrato come il colore di una passione. La passione sincera e spontanea di una ragazza giovane, che come tante altre ragazze coltivava i suoi sogni e aveva il diritto di viverli. Ma che purtroppo aveva solo il diritto di sottostare a regole ferree che la limitavano dietro quel velo che doveva indossare; questa ragazza ha fatto indirettamente della sua squadra preferita un simbolo di protesta contro chi vuole uccidere i sogni, e che non consente nemmeno di amare uno sport che è amato in tutto il mondo. Nel nostro paese una tragedia di questo tipo non solo porta sconforto e cordoglio, ma anche sconcerto, noi che viviamo lo sport come un evento di vita gioioso, qualcosa per il quale appassionarsi, gridare, abbracciarsi…noi fatichiamo ad accettare che Sahar sia morta per questo.
Ma purtroppo è così; purtroppo in Iran è negata alle donne la possibilità di vivere lo sport così come è concesso agli uomini. E questo, a chi vive in altri Paesi pare davvero inaccettabile, poiché in tutto il mondo lo sport è considerato anche educativo, e aggregante, lo sport unisce le persone, crea socialità, ed è senza dubbio qualcosa di positivo e non da vietare. Leggere della triste storia di questa ragazza, sia pure nel dispiacere ci regala la consapevolezza di quanto siamo fortunate noi donne libere che viviamo in luoghi dove non ci è negata la nostra dignità e il nostro diritto di sognare. Ricordiamoci di Sahar negli stadi, sventolando o indossando qualcosa di blu; il colore che ci identifica libere di amare il calcio e la vita. Amnesty International ha lanciato un appello con l’hashtag #BlueGirl per ricordare il sacrificio di Sahar Khodayari, morta per un divieto che forse un giorno grazie a lei non chiuderà più i sogni dietro le sbarre… R.I.P.