Emergono nuovi dettagli sull‘Operazione “Aquila Nera”, portata avanti stamattina dalla Squadra Mobile di Roma con diversi arresti per tonnellate di cocaina portate dall’Olanda.
GLI ARRESTATI
Sono finiti in custodia cautelare 9 soggetti, responsabili a vario titolo di Associazione armata finalizzata al traffico transnazionale di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi alterate e ricettazione
- DAIU Lulzim, nato in Albania il 12.4.1972;
- KARAMETA Agim, nato in Albania il 2.2.1962;
- ROSU Elena Daniela, nata in Romania il 4.12.1987;
- ROMAGNOLI Alessandro, nato a Roma il 10.1.1980;
- GIPSI Bujar, nato in Albania l’8.4.1975;
- MONARI Artan, nato in Albania il 21.12.1967;
- BELLI Deborah, nata a Roma l’8.09.1978;
Altri due soggetti di nazionalità albanese raggiunti dal provvedimento restrittivo risultano allo stato irreperibili in quanto da tempo non presenti sul territorio nazionale.
I soggetti raggiunti dal provvedimento restrittivo avevano costituito un’organizzazione armata dedita alla commissione dei delitti di importazione e successiva distribuzione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
In particolare, al vertice dell’organizzazione è collocato DAIU Lulzim con il ruolo di CAPO e ORGANIZZATORE. Era lui a dirigere e organizzare le singole importazioni di stupefacente, a coordinare i rapporti tra i detentori dello stupefacente all’estero e i corrieri incaricati del trasporto e la successiva distribuzione in Italia.
ROSU, partecipe, coadiuvava il capo nel compimento delle sue attività illecite provvedendo ad eseguire vari compiti e a recuperare il denaro.
KARAMETA, corriere del sodalizio, consegnava i mezzi in Spagna per la creazione di vani per l’occultamento della droga, ritirava lo stupefacente all’estero per importarlo con i veicoli predisposti allo scopo e lo consegnava al DAIU.
ROMAGNOLI, MONARI, GIPSI, stabili acquirenti di grossi quantitativi di sostanza stupefacente destinati ad essere distribuiti a Roma.
BELLI, collaborava all’occultamento dei mezzi dell’associazione e dei proventi del traffico di stupefacenti, comunicava le direttive del capo agli altri membri dell’organizzazione, durante la detenzione del capo stesso.
IL “METODO DI LAVORO” DELLA BANDA
Le indagini, condotte in particolare dalla “II Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione” e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, hanno permesso di appurare che lo stupefacente veniva ritirato all’estero, in particolare in Olanda ed importato in Italia attraverso autovetture modificate, dove veniva successivamente immesso sul mercato di Roma attraverso i centri di smistamento di Tor Bella Monaca e San Basilio.
I criminali provvedevano a consegnare i veicoli in loro uso in Spagna, dove venivano creati dei vani per l’occultamento della cocaina e delle armi, per poi intraprendere il viaggio di ritorno con i carichi di cocaina.
Nello specifico, il capo dell’organizzazione in Italia, DAIU Lulzim, dotava gli affiliati di telefoni Black Berry (non a loro direttamente riconducibili) con cui comunicavano esclusivamente mediante messaggeria con nickname codificati (Audi, Rolex, ecc…).
La droga veniva acquisita direttamente in Olanda, a Rotterdam, da fidati corrieri anche italiani, che la trasportavano su autovetture munite di doppi fondi con sofisticati sistemi di apertura, sia magnetici che meccanici.
L’organizzazione disponeva di un efficientissimo parco macchine (14 oggetto sequestrate oggi e altre 7 sequestrate e confiscate in occasione dell’arresto di Daiu).
Le auto venivano modificate a seconda del quantitativo di droga da trasportate (furgoni/Suv per viaggi transnazionali tra i 15 e i 50 Kg) o per i trasporti di quantitativi di minore importanza (1/5 Kg) e per il trasporto di armi e denaro.
Le modifiche venivano fatte in un’ officina in Spagna (Madrid) e pagate tra i 10 e i 20 mila euro (in alcuni casi anche in cocaina).
L’organizzazione era in grado di indicare esattamente il quantitativo che poteva essere nascosto nel doppio fondo in quanto disponeva di “forme” in legno equivalenti alle dimensioni del panetto standard di cocaina.
La cocaina, nel panetto in sottovuoto, veniva poi confezionata con un’ ulteriore copertura di caffè o pepe e ricoperta da nastro isolante (per renderla non individuabile dai cani antidroga). Sul panetto era poi impresso un simbolo o una scritta che era indicativa della qualità dello stupefacente e veniva successivamente venduta, sulla piazza romana, al prezzo che variava tra i 28 e i 35 mila euro al chilo a seconda del quantitativo acquistato e delle modalità di pagamento attraverso i centri di smistamento di San Basilio e Tor Bella Monaca.