I primi effetti della sentenza della Cassazione di due giorni fa cominciano a farsi sentire. E così la longa manus proibizionista del Viminale ottiene i primi risultati in maniera crescente e preoccupante. Sì perché tutto inizia con la direttiva di Salvini del 9 maggio scorso che ha imposto a prefetture, amministrazioni locali e forze di polizia la stesura, entro il 30 giugno, di specifici report sui negozi di cannabis light. Contestualmente una vigilanza rafforzata sulla “vendita illegale di derivati e infiorescenze della canapa impropriamente pubblicizzata come consentita dalla legge n. 242/2016” e uno screening sui negozi, facendo particolare attenzione alla “localizzazione degli esercizi con riferimento alla presenza nelle vicinanze di luoghi sensibili quanto al rischio di consumo delle sostanze come le scuole, gli ospedali, i centri sportivi, i parchi giochi, e, più in generale, i luoghi affollati e di maggiore aggregazione, soprattutto giovanile“.
La direttiva Salvini e il modello Macerata
La direttiva, come tanti altri provvedimenti di Salvini, non entrava nel merito più di tanto e così facendo si lasciava campo libero alle interpretazioni delle singole Procure. Infatti è noto ormai alle cronache il cosiddetto ‘modello Macerata’ che ha fatto da apripista. Dopo la circolare del Viminale tutti i negozi di cannabis light della provincia maceratese sono stati passati al setaccio; ciò ha portato alla chiusura di alcuni di essi e a maxisequestri, nonché ad almeno tre denunce per spaccio di stupefacenti. Questa in particolare è stata l’interpretazione del questore di Macerata Antonio Pignataro che dichiarava in riferimento alle operazioni di cui sopra: “La cannabis light non esiste e i negozi che vendono queste sostanze andrebbero, per legge, chiusi tutti“.
La sentenza della Cassazione
Poi la sentenza della Cassazione del 30 maggio scorso, che pare confermare quanto detto da Pignataro. La Suprema Corte nel suo dispositivo così scrive: “La commercializzazione della cannabis sativa e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione […] non rientra nel campo di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo Comune delle Specie di piante agricole […] e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati“. Vi è secondo la Cassazione, in termini pratici, una falla nella legge 242, che non direbbe che è possibile vendere tali sostanze ma, al massimo, soltanto detenerle per uso personale anche se tali sostanze possiedono una percentuale di thc inferiore allo 0,5% come stabilito dalla convenzione tossicologico-giuridica. Infatti la sentenza aggiunge: “Integrano il reato di cui all’art. 73 commi 1 e 4 le condotte di cessione, di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante“. Sempre in termini pratici i rivenditori di cannabis light rischiano, oltre al sequestro della merce basata sulle infiorescenze e la chiusura dell’attività anche l’accusa di traffico di stupefacenti.
Lo spazio interpretativo lasciato alle singole procure dalla sentenza
Ma il punto poco chiaro della sentenza sta proprio nella sua parte finale e nelle parole ‘efficacia drogante‘. La convenzione tossicologico-giuridica, ripetiamo, stabilisce che l’efficacia drogante sia nulla sui prodotti che contengono thc al di sotto della percentuale dello 0,5. Ma fino a quando la stessa Corte Suprema non pubblicherà le motivazioni della sua sentenza fra qualche settimana lo spazio interpretativo lasciato alle singole procure è enorme.
Gli effetti si sono visti già nella giornata di ieri quando alcuni distributori automatici di cannabis di Avellino sono stati presi di mira dalla Guardia di Finanza e ciò ha portato al sequestro di 221 grammi di cannabis light e alla denuncia del titolare. Una caccia alle streghe che ha seminato il panico nella provincia campana: “Abbiamo ritirato dai nostri negozi tutti i prodotti basati su foglie ed infiorescenze per paura di retate, ma questi articoli costituiscono il 70% del nostro fatturato. In pratica siamo rovinati” ci hanno riferito alcuni giovani imprenditori della zona.
Stessa reazione da parte del più famoso shop aperto un anno fa dal rapper J-Ax a Milano e che ha chiuso i battenti nella giornata di ieri: “Gentili clienti, preso atto della stringata informazione provvisoria della Corte suprema di Cassazione, emessa ieri e riportata dagli organi di stampa, Mr. Nice store ha deciso, al fine di evitare indebite speculazioni, di astenersi, per il momento, dalla vendita dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa. Pertanto, fino a nuova e contraria comunicazione, il negozio rimarrà chiuso”, si legge nell’avviso affisso alla saracinesca abbassata.
Il caso emblema del Miracanapa di Torino
E poi uno degli episodi più significativi perché emblema di ciò che può succedere da un momento all’altro ad ogni cannabis shop di qualunque zona d’Italia, e rappresentato dal sequestro di 19 pacchetti da due grammi di cannabis light (circa 500 euro il valore della merce) presso il Miracanapa di Torino. Il titolare Marco Mirabelli, a seguito del sequestro, è indagato per spaccio di stupefacenti. “È una situazione incomprensibile e stroncante sotto il profilo economico per noi piccoli e giovani imprenditori, perché anche se poi tutte le vicende come la mia si concluderanno senza convalida dei sequestri e con l’archiviazione delle indagini, nel frattempo siamo costretti a rinunciare a gran parte del fatturato e spendere denaro per gli avvocati e ciò, banalmente, ci strangola” ci dice Mirabelli, aggiungendo che: “Siamo attenzionati da tempo da parte delle forze dell’ordine. Gli agenti sono passati martedì scorso a prelevare dei campioni da analizzare, ma nonostante questi prodotti siano ben al di sotto della soglia dello 0,5%, cioè tra lo 0,3 e lo 0,4% le forze dell’ordine sono tornate ieri per il sequestro e per comunicarmi di essere sottoposto ad indagini per spaccio“.
Le interpretazioni ‘politiche’ delle singole procure sono un assist per le mafie
Ma queste interpretazioni della sentenza della Cassazione da parte delle procure, che sono giocoforza politiche, sono un vero e proprio assist per le mafie. Un recente studio, infatti, pubblicato dalla rivista European Economic Review firmata dal prof. Vincenzo Carrieri, titolare della cattedra di scienze delle finanze presso l’Università ‘Magna Grecia’ di Catanzaro, ha determinato che l’apertura dei cannabis shop in Italia ha provocato una riduzione dello spaccio del 14 per cento e conseguentemente del fatturato delle mafie per almeno 100 milioni di euro.