Intervista a Giacomo Castro, Presidente di Latium Vetus. Non solo rifiuti. Pomezia e il suo hinterland sempre più «panacea di tutti i mali (degli altri)». Vale tanto per chi opera nel settore dei rifiuti ma altrettanto per risolvere, nelle intenzioni, emergenze divenute sempre più stringenti intorno agli amministratori, spesso quelli romani. Di fronte ai temi più spinosi infatti si registra la tendenza, non certo nuova, ad optare per la periferia nel tentativo di dirottare altrove i problemi.
Ed una di queste zone borderline, in tutti i sensi, è quella di Santa Palomba tra Pomezia e Albano che, malgrado le sue ataviche difficoltà, continua ad essere designata per progetti completamente decontestualizzati dalla realtà. Pensiamo al cosiddetto Social Housing, una sorta di edilizia popolare ma imbellettata con tutta una serie di aggettivi socialmente dirompenti (buoni per il marketing politico ma poi?), o all’idea, per ora solo sulla carta, di trasferirvi gli autodemolitori di Centocelle. In mezzo al nulla, con scarsi collegamenti, e con industrie pesanti.
A fronte di tutto questo, allora, ci sentiamo dunque di condividere l’allarme lanciato da “No Biogas Pomezia” che non ha esitato a parlare di «territorio sotto assedio»: sotto assedio per la gestione dei rifiuti, sotto assedio da una politica miope che cerca di scaricare altrove problemi sociali ed ambientali. E a rimetterci saranno i cittadini tutti. Di questo ed altro abbiamo parlato con Giacomo Castro di Latium Vetus.
Intervista a Giacomo Castro, Presidente di Latium Vetus
Il territorio intorno a Pomezia è al centro di tutta una serie di progetti che spaziano dagli impianti di rifiuti, passando per la costruzione di nuovi comparti abitativi, il cd Social Housing, fino ad arrivare alla possibilità di veder trasferiti al confine della città perfino gli autodemolitori di Centocelle. E’ un territorio sotto assedio come sostiene No Biogas Pomezia?
«Siamo assolutamente d’accordo. Da anni il territorio di Pomezia è sotto assedio. Siamo preoccupati, e dispiaciuti, perché si è fatto poco o nulla per contrastare questo fenomeno. Siamo convinti che la qualità della vita dei cittadini sia in serio pericolo, soprattutto se questo trend dovesse, come purtroppo sembra,rimanere invariato».
Partiamo dal tema rifiuti. A febbraio c’è stato tanto clamore mediatico, con i riflettori che si sono accesi – quasi improvvisamente – sugli impianti Intereco ed Ecocentro. Passato il picco del momento però l’attenzione è calata e questo, a prescindere da tutto, non è mai un bene. Ad ogni modo qual è la situazione che desta maggiore preoccupazione?
«Devo dire che quanto successo non mi sorprende, è un po’ un elemento tipico di Pomezia. In città scoppiano queste “bolle d’allarmismo” che nascono e muoiono rapidamente. Qual è l’impianto che ci desta maggiore preoccupazione? Il prossimo, anzi i prossimi che verranno. Chiaramente entrambi i progetti sono preoccupanti soprattutto perché hanno un impatto in termini di volumi di rifiuti trattati spaventoso. Ma ci sono altri progetti che continuano ad andare avanti, a proseguire i propri iter burocratici, ed è questo il dato più allarmante. Cito ad esempio quello dell’Ecosystem, di cui non si è saputo nulla fino a pochi giorni fa, che ha recentemente avuto l’AIA, dopo aver ottenuto la VIA, dalla Regione Lazio. Tradotto vuol dire che possono iniziare ad operare. Il segnale è chiaro: Pomezia, se continua così, rischia di diventare un territorio per la lavorazione dei rifiuti».
Ecocentro, Intereco, Service Lazio, Cogec, Trevi Ambiente. Sono i progetti, tra nuovi o per ampliamento di strutture già esistenti, al vaglio della Regione per ciò che riguarda il trattamento dei rifiuti di vario tipo. Abbiamo contato un potenziale di oltre 500 mila nuove tonnellate che potrebbero arrivare a Pomezia alle quali sommare quelle dunque della Ecosystem che lei ci ha rivelato in anteprima. Come si è arrivati a questo punto e quanto pesa, secondo L. Vetus, la mancata approvazione da parte del Consiglio Comunale delle cd. «distanze minime» nel giugno 2017?
«Gli argomenti, seppur collegati, vanno distinti. Innanzitutto il vostro calcolo è corretto: 500mila tonnellate annue, più quelle della Ecosystem, rappresentano, per fare un parallelo, l’intero ammontare del rifiuto organico prodotto dalla città di Roma. Cito poi un altro dato: nell’incendio Eco-X bruciarono circa 8500 tonnellate. Confrontandole con 500mila, quelle cifre quasi scompaiono, eppure i danni che provocarono all’ambiente sono ancora sotto gli occhi di tutti. E veniamo alle distanze minime: l’argomento è correlato chiaramente, ma la vera domanda secondo noi è un’altra. Cosa fa l’ente comunale, qual è il progetto, per contrastare questa insorgenza? Qual è la linea politica, da trasformare in azioni concrete, per contrastare il sorgere di nuovi impianti di rifiuti? A nostro avviso non c’è».
Eppure il Comune di Pomezia ha richiesto recentemente la partecipazione dei Comitati di Quartiere per contrastare l’impianto di via Trieste. E’ stata solo una mossa mediatica?
«Crediamo che il coinvolgimento dei CdQ sia sempre una buona cosa, a prescindere da tutto. Crediamo però anche che insieme a loro sarebbe stato più opportuno, anche logico, coinvolgere le associazioni ambientaliste in quanto senz’altro maggiormente vicine alle tematiche trattate. Dal punto di vista politico non mi esprimo: quello che valuto sono le azioni che il Comune di Pomezia ha messo in campo per difendere i cittadini. Ad oggi, la mia considerazione, è quella che una vera linea di contrasto all’insorgere di questi impianti non esista. E’ un dato di fatto».
Avete presentato le vostre osservazioni per contrastare il rilascio della VIA ad entrambi insieme all’Associazione Culturale Tyrrhenum. Su quale linea fondamentale si è incentrata la vostra azione?
«Abbiamo voluto ricordare alla Regione Lazio quelle che sono le criticità di questi due impianti. Sono quantitativi enormi di rifiuti che verrebbero lavorati in impianti attaccati al centro abitato. Quello della Ecocentro poi è a ridosso perfino di una scuola, di un ospedale, di ristoranti e anche qui di case. La nostra linea è chiara, speriamo di riuscire a farla valere»
Cosa pensate del nuovo piano rifiuti regionale?
«Intanto è bene precisare che per il momento sono state approvate solo le linee guida e quindi, in effetti, ancora non c’è in concreto un nuovo piano di rifiuti. Dopodiché si è aperta la fase delle osservazioni alla quale probabilmente anche noi parteciperemo. Detto questo ci sono comunque criticità che vanno sottolineate: la prima è che la Regione non mette mai nette linee di demarcazione. Ad esempio: non viene mai espressamente detto ‘qui non si realizzano impianti di rifiuti’ o impianti impattanti. E questa poca chiarezza, a cui si somma, nel nostro caso, la linea poco incisiva del Comune di Pomezia, si traduce, purtroppo, in impianti per la lavorazione di rifiuti sul territorio. Inoltre registriamo una volontà ancora troppo marcata di individuare siti idonei per discariche e questo è un tornare indietro di anni»
Questione autodemolitori e social housing, due progetti sempre destinati a Santa Palomba, un’area sì nel IX municipio di Roma ma completamente integrata con Pomezia: anche in questo caso qual è lo scenario che si prospetta secondo voi?
«Questa domanda è molto interessante. Ragioniamo insieme: c’è un problema con gli autodemolitori a Centocelle, problema che può essere anche condivisibile. Cosa si fa? Si prendono gli autodemolitori e si spostano a Santa Palomba. Anche qui l’idea non è certo nuova dato che sono anni che circola questa ipotesi. E accanto a questi lotti industriali dove dovrebbero sorgere gli autodemolitori cosa si fa? Si progetta il social housing, case popolari in sostanza, per persone svantaggiate. Preciso: anche in questo caso l’idea non è di oggi, non è di ieri, perché io stesso partecipai ad una riunione sul tema nel 2013. Ebbene, in poche parole, a Centocelle avevamo gli autodemolitori accanto alle case, ora lo stesso scenario sarà spostato, identico, a Santa Palomba. Dov’è allora la differenza? E’ questa l’idea di giustizia della politica italiana? A noi questa sorta di esportazione del degrado ci indigna. Chiudo dicendo che sul social housing emerge un’altra, triste realtà. La realizzazione di quel progetto andrà ad intaccare, di nuovo, suolo vergine, verde, rimasto intatto nel tempo, colando nuovo cemento. Credo che il quadro sia dunque decisamente inquietante».