Educazione sentimentale
È appena trascorso l’8 Marzo e la settimana della mimosa ha riempito le pagine di cronaca di diverse donne. Nulla di eclatante, se non fosse che nessuna di loro è in vita per scelta del partner; eventi tragici che sembrano non toccarci, che vanno contro il nostro immaginario romantico di racconti fiabeschi dell’eroe con la principessa e del “vissero felici e contenti”.
Frasi romantiche e d’effetto in un repertorio infinito di racconti, film e canzoni che creano falsi miti dell’amore, spesso visto come l’annullarsi per l’altro o addirittura morirne: “io ti salverò” “sei mia per sempre” “io e te contro il mondo” “io vivo per te” e così via.
La realtà è che sarebbe opportuno invece educare giovani e meno giovani al rispetto e al diritto di dire “BASTA” quando la relazione non è occasione di piacere e di crescita.
Quando la relazione è tossica?
Partendo dal presupposto che la relazione di coppia non è quella degli spot pubblicitari, possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che deve essere fonte di benessere. Viceversa, è logico credere che dietro un malessere di qualsiasi natura – fisico e psicologico – ci sia un disturbo da “curare”.
Per “tossico” si intende un rapporto senza dialogo, empatia e rispetto, con brevi intervalli di sesso intenso e lunghi momenti di solitudine, sofferenza, aggressività e gelosie. Nella pratica la relazione si regge su uno squilibrio tra le due parti:
- Scelte: uno decide per entrambi;
- Spazio: uno dei due non ha mai tempo per se stesso, mentre l’altro sì;
- Colpa: i litigi partono sempre per “colpa” di uno, l’altro è vittima;
- Dipendenza: uno dei due dipende dall’altro economicamente.
Chi può cadere nella relazione tossica?
Ciascuno di noi porta nelle storie d’amore il proprio modo di essere, la propria capacità di vedere il mondo, le proprie fragilità, la propria storia e tutte le alterazioni connesse; a volte la relazione parte dalla necessità di attenuare le paure più insidiose come lo stare da soli o il timore di non essere adeguati.
Non esistono personalità predisposte come “il manipolatore” e la “crocerossina”, ma vissuti ed esperienze che ci delineano come i pezzetti del puzzle: magari abbiamo subito una perdita e in un momento di vulnerabilità incontriamo una persona che con il suo essere presente ossessivamente si incastra alla nostra alterazione emotiva con il suo pezzetto, riempiendo un vuoto.
Questo meccanismo ci rende chiara la possibilità che possa succedere a tutti, forti e meno forti; non dobbiamo colpevolizzarci. Soprattutto, non è detto che le due parti che insieme formano un rapporto malato non possano essere funzionali con altri partners.
Cosa possiamo fare?
- Prendere consapevolezza di sé stessi e del rapporto, ammettere che la relazione che si sta vivendo – sebbene sia con la persona che tanto si era desiderata – è una relazione disfunzionale che fa soffrire e mortifica;
- Chiedere aiuto e farsi supportare dalla famiglia, dagli amici o da uno specialista: la fine di una storia toglie energie e capacità di decisione;
- Riprendere i contatti con il mondo del lavoro: importante l’indipendenza economica per non cadere in ricatti e umiliazioni;
- Non entrare in guerra con il partner o con sé stessi su chi ha sbagliato cosa, non è una gara a chi ha fatto meglio ma la presa di coscienza di due persone non incastrate in bisogni sani ma in paure disfunzionali;
- Crearsi uno spazio personale di affetti familiari, di amicizie, di lavoro e passioni.
Il “noi” nasce da due parti complete, la mezza mela che cerca l’altra metà nell’attesa diventa nera e marcia.
Se volete raccontarmi le vostre storie per sciogliere insieme qualche nodo disfunzionale, scrivete all’indirizzo: psicologia@ilcorrieredellacitta.it
Vi aspetto.
Dott.ssa Sabrina Rodogno