E’ stata pubblicata la relazione semestrale della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) relativa al primo spezzone del 2018 (gennaio-giugno) e trasmessa al Parlamento. Nel documento viene fotografata la situazione in Italia in merito alla criminalità organizzata. Un focus è stato riservato al Lazio e nello specifico a Roma Capitale. Ma «anche l’area di Pomezia non è esente da infiltrazioni mafiose» si legge nel testo.
Questo un passaggio riservato al territorio pometino con un riferimento in particolare all’operazione portata a termine dalle forze dell’ordine l’estate scorsa. «Il 16 giugno 2018, i Carabinieri hanno arrestato 3 soggetti, responsabili di tentato omicidio, minaccia, estorsione, usura, detenzione abusiva di armi, con l’aggravante del metodo mafioso. L’ordinanza è stata emessa dal GIP del Tribunale di Roma nell’ambito del p.p. 23829/17 RGNR. Il provvedimento riguardava 4 soggetti, uno dei quali è riuscito a sottrarsi alla cattura».
Ma non è tutto. «L’indagine ha consentito di ricostruire
una serie di episodi intimidatori, minacce e condotte estorsive, perpetrati ai danni di alcuni imprenditori locali,
che non avevano denunciato per il timore di ritorsioni. I responsabili di tali intimidazioni sono stati individuati
in appartenenti alla famiglia calabrese dei Gangemi, collegata ai sodalizi dei De Stefano (di Reggio Calabria) e dei Farao-Marincola (di Cirò Marina). L’indagine venne avviata nel 2016 a seguito dell’esplosione di colpi d’arma da fuoco, in località Torvajanica, contro l’abitazione di un imprenditore operante nel settore delle energie rinnovabili».
Ritroviamo Pomezia poi nell’ambito di un’operazione condotta a Cittanova (RC) e Roma. In questo caso un provvedimento di sequestro nei confronti di un soggetto originario di Cittanova (RC), ritenuto organico alla cosca RASO-GULLACE-ALBANESE, che aveva sposato, nel 2006, la nipote di un defunto capo cosca. Il provvedimento di sequestro ha riguardato un consistente asset patrimoniale, ricomprendente 5 società di capitali, 2 società di persone ed 1 ditta individuale, con sedi tra Cittanova, Roma e proprio a Pomezia (RM), operanti nei settori turistico-alberghiero, agricolo (produzione di olio), lavorazione del legname e trasporto rifiuti. Pomezia, ancora, in particolare una villetta nella zona industriale, compare quindi tra gli ‘appoggi logistici’ utilizzati da un esponente di spicco della criminalità organizzata per la sua latitanza.
CONSULTA QUI LA RELAZIONE SEMESTRALE DELLA DIA
L’operazione del 16 giugno 2018
I Carabinieri del Gruppo di Frascati, impegnati fra Roma e Latina, eseguirono 4 provvedimenti restrittivi, emessi dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, in concorso fra loro e con ruoli diversi, di tentato omicidio, estorsione, usura ed altri reati, tutte condotte poste in essere con l’aggravante del metodo mafioso ex art. 416 bis.1 C.P..
Le indagini, condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati con l’ausilio della Compagnia Carabinieri di Pomezia, vennero avviate nell’estate del 2016 in seguito ad un vero e proprio attentato attuato a Pomezia, località Torvajanica, in danno di un imprenditore del posto, mediante l’esplosione di almeno 28 colpi sparati con un fucile automatico all’indirizzo della villa in cui era presente l’uomo unitamente al proprio nucleo familiare.
Dalla visione dell’impianto di videosorveglianza esterno al perimetro dell’immobile era stato appurato nell’immediatezza che due persone, entrambe con volto travisato, si erano fermate all’altezza del cancello principale con un’autovettura, risultata poi provento di furto; una delle due, una volta salita sul tetto del veicolo, aveva esploso con un’arma lunga una raffica di colpi, alcuni dei quali avevano impattato anche sulla vetrata a vista del salone della villa, fortunatamente antiproiettili.
Le indagini, protrattesi per diversi mesi, anche con l’ausilio di attività tecniche, permisero di ricostruire che l’evento delittuoso rappresentava solo l’ultimo di altri episodi posti in essere, fra il 2012 ed il 2016, all’indirizzo della stessa vittima e di un altro imprenditore, domiciliato all’epoca ad Aprilia (LT), con il quale l’uomo era in società all’interno di un’importante azienda nel settore dell’elettronica.
Gli atti intimidatori attuati dal gruppo criminale fecero registrare un’escalation di violenza nei confronti delle vittime, ingenerando in loro e nei loro familiari un radicale cambiamento delle abitudini di vita. I primi due eventi si sono verificati ad Aprilia (LT) in danno dell’imprenditore di Latina, in un caso con il lancio di alcune cartucce all’interno del giardino dell’abitazione e successivamente attraverso l’esplosione di alcuni colpi di pistola all’indirizzo dell’appartamento, al cui interno erano presenti i familiari della vittima.
I fatti più gravi si svolsero però a Torvajanica, nel 2015 mediante il lancio di due bombe a mano, ed infine nel 2016 attraverso l’esplosione di ben 28 colpi di fucile, quest’ultimo l’unico evento che è stato denunciato.
Gli atti intimidatori, infatti, si inserirono in una serie di richieste estorsive e ripetute minacce aggravate dal metodo mafioso, disposte da due fratelli calabresi, da anni domiciliati in provincia di Latina e già noti per ulteriori precedenti penali nel campo dei reati finanziari, i quali, a fronte di un prestito/investimento di 13.000.000 di euro nell’azienda gestita di fatto dai due imprenditori per la ricapitalizzazione della società, avevano ricevuto nel tempo, con tassi usurai, la somma di 17.000.000 euro pretendendo la restituzione di ulteriori 25.000.000 di euro, fra capitale ed interessi, somma mai versata per il fallimento della società in questione.
Per tale ragione gli aguzzini dapprima presero di mira l’imprenditore di Latina, tentando di estorcergli il denaro anche mediante due atti intimidatori all’indirizzo della sua abitazione e, successivamente, vista l’impossibilità di consegnare l’ingente somma di denaro da parte di quest’ultimo, nel frattempo resosi irreperibile all’estero, estorsero una somma di denaro quantificata in 300 mila euro in contanti ed una collezione di rolex e preziosi per un valore 340.000 euro al socio imprenditore di Torvajanica, con la promessa da parte di quest’ultimo di estinguere un presunto debito di 25.000.000 euro con pagamenti mensili dell’ordine di 300.000 euro e con la cessione di preziosi ed immobili di prestigio. L’impossibilità anche da parte di quest’ultimo di recuperare l’ingente somma di denaro condusse a ripetute minacce e ai due gravissimi atti intimidatori.
Le modalità utilizzate, con particolare riferimento alla tipologia di armi impiegate per la consumazione dei reati, ed i trascorsi dei due fratelli calabresi, ritenuti vicini ad ambienti malavitosi, anche in virtù di frequentazioni con soggetti contigui alla criminalità organizzata, portarono alla configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso.
D’altra parte, ad ulteriore conferma della loro riconosciuta caratura criminale, anche nel corso dell’indagine è emerso come i due indagati ebbero contatti con personaggi legati alla criminalità organizzata calabrese che, in taluni casi, presero parte ad alcuni incontri che hanno avuto luogo ad Aprilia e finalizzati a concordare con la vittima il piano di rientro delle somme di denaro pretese in maniera illegittima.