A qualche settimana dall’ultima, meschina, manifestazione di violenza da parte di un alunno nei confronti di un professore, sembra che il problema del bullismo nelle scuole non sia più di grande urgenza. Dopo una prima reazione di sdegno e un conseguente accanimento verso l’autore di quei gesti orribili, l’opinione pubblica si è limitata a mettere il ragazzo alla gogna, senza nemmeno interrogarsi sul vero significato di quel gesto. Nessuno, o quasi, è andato alla ricerca dei veri motivi per cui un adolescente si senta in diritto di sopraffare un adulto, a maggior ragione un suo professore. Ad analizzare questa situazione critica sono stati proprio i diretti interessati: alcuni insegnanti, stanchi di vedere questo tipo di situazioni risolversi in una bolla d’acqua, hanno ben pensato di chiarire la loro posizione a riguardo.
«I problemi della scuola, anche come istituzione, sono sicuramente molti. La cosa veramente critica, però, è che alcune di queste lacune vanno a creare un terreno fertile per atteggiamenti come il bullismo. I ragazzi hanno perso il rispetto e la stima verso la figura dell’insegnante, ma di questo non possiamo dargliene colpa. Il torto non è mai solo del singolo alunno che compie un gesto abominevole, ma di tutto un insieme di condizioni che si sono create all’interno delle scuole. Per prima cosa in parecchi istituti pubblici la figura del Preside è assente: per motivi economici molte scuole si uniscono tra loro, e vien da sé che un solo Preside per tre o quattro edifici non ha la facoltà, il potere, di controllarli tutti assiduamente. Di conseguenza gli studenti non si sentono “minacciati” da questa figura autoritaria, perché ne sono privi. Niente punizione, niente controllo da parte di chi dovrebbe garantire l’ordine nell’istituto. Un altro fattore che influisce pesantemente sulla concezione che hanno i ragazzi dei loro professori riguarda il rapporto genitore-insegnante. La collaborazione e la considerazione, necessarie in questo tipo di relazioni, vengono meno: i genitori giustificano ogni comportamento anomalo dei propri figli, si schierano a prescindere dalla parte dei loro ragazzi e non perdono occasione per ribadirlo a noi insegnanti. Un ragazzo che non studia viene giustificato dai genitori perché aveva da fare, o è stato male, o non ricordava di dover fare i compiti, eccetera. La colpa è sempre degli altri (a volte anche di noi professori!), e questo scarico di responsabilità è deleterio per i ragazzi, molto più di una sana “strigliata”. Difendere i figli in qualsiasi occasione li rende incoscienti, e allo stesso tempo sicuri di sé e di essere nel giusto, a prescindere da quello che si fa. Quando un genitore giustifica qualsiasi comportamento del figlio è senza dubbio poco istruttivo per lui. Quando, poi, lo giustifica di fronte a un insegnante (al quale magari addossa la maggior parte delle colpe in questione) è quanto di più pericoloso possa fare, per la sua persona e per chi gli sta intorno.
Io non mi sento di condannare i ragazzi, né di tutelarli del tutto: la ragione sta sempre nel mezzo. Ma sono fortemente convinto che sia di vitale importanza ristabilire ruoli ben definiti, porre dei limiti invalicabili tra alunno e insegnante, e educare i ragazzi a diventare adulti responsabili, che ragionano prima di agire e che sono in grado di assumersi le proprie responsabilità».