E’ iniziato l’8 marzo il progetto culturale “Non restiamo in silenzio, denunciamo la violenza” contro il crimine di genere, che vede coinvolti cittadini e scuole di Nettuno.
Il progetto, che termina oggi, nasce dall’attenzione del Comune di Nettuno per il tema oramai trasversale del femminicidio ed è realizzato grazie alla collaborazione delle Associazioni In Progetto, A.N.D.O.S Nettuno – Anzio, ilteatrofontedivitalab, la Coccinella, ASD Nettuno Rock, la palestra Enea’s, l’iniziativa social “Donne una…nessuna centomila” e in collaborazione con gli Istituti Comprensivi III e IV di Nettuno.
Nell’incontro dell’11 marzo al Forte San Gallo hanno presenziato i Consiglieri Comunali Eleonora Trulli e Roberto Lucci, l’avvocato Marina Marconato, esperta nella tutela delle vittime di violenza di genere psicologica e dei maltrattamenti su minori, la dottoressa Viviana Conti, psicologa psicoterapeuta esperta in disagi da dipendenza affettiva e traumi da maltrattamento, le organizzatrici, promotrici e ideatrici Daniela Cofini ed Elsa Casano, le curatrici e attrici Elisabetta Bruni e Sabrina Anzuini del teatrofontedivitalab.
A prendere la parola è Elsa Casano, che racconta come a seguito di una serata trascorsa con un’amica – Daniela, a cui la vita ha sottoposto numerose prove senza che lei si sia mai lasciata abbattere – abbia deciso quella notte di scrivere prendendo in mano una penna che le sembrò non fermarsi mai, non prima almeno della stesura del monologo “Ora mi sento”, nel quale Daniela si domanda quando l’anima sarà mai libera di essere sé stessa, quando assaporerà il piacere di fare ciò che vuole, quando se si è sempre oberati di impegni o troppo stanchi per strappare via da quest’anima come dei vecchi panni. Ma l’anima sa quello che vuole. Sa di volersi riprendere sé stessa, riprendere il sole, la libertà che non sapeva di aver perso finché un giorno se li strappa di dosso questi panni e corre la corsa più difficile di tutte, quella per raggiungersi. E così, con il sole addosso, Daniela balla. Balla perché ballare è libertà, ballando si ama e ama, perché amare è vivere e vivere è la forma più nobile di libertà.
Segue l’intervento dell’avvocatessa Marina Marconato, che ricorda che 6 milioni di donne sono in Italia state vittime di violenza. E la maggior parte dei casi vede la violenza attuarsi nell’ambito del tessuto familiare, solo in un secondo posto c’è l’ambito professionale. E queste vittime non sono fragili sono affettive, empatiche, intelligenti, affermate ma imbrigliate nella rete della violenza.
Tutte le donne che sono state uccise hanno in un primo momento subito violenza psicologica.
Se tutto dipendesse da un pugno ricevuto in pieno viso, la donna normalmente se ne andrebbe via. Ma in genere non si vede niente.
Lui all’inizio è un buono e solo a volte alcolista e\o tossicodipendente. Dall’alto della sua bontà dispensa mail d’amore, fiori, affinché lei si fidi di lui.
Ma dopo tre mesi o più, in questa relazione si insinua il serpente della violenza psicologica. Dalla violenza psicologica si arriva alla violenza fisica.
Ma le sottili armi della psicologia non terminano così: dopo averla picchiata, l’aguzzino si vittimizza e la donna può cadere nella trappola della “crocerossina” (di cui sono pieni i cimiteri).
Le botte non finiscono mai. E alla fine la donna si abitua a nasconderle, si abitua a non scappare o teme di non essere abbastanza protetta dallo Stato.
Tutti i femminicidi sono generalmente compresi dall’interruzione della relazione fino a dodici mesi dopo.
Le regioni Lombardia, Lazio e Sicilia sono quelle più colpite dal femminicidio.
In genere quando si uccide qualcuno, ad esempio nel corso di una rapina, si usa la pistola; la donna sembra venire invece metodicamente uccisa con un coltello, col quale viene colpita ripetutamente, spesso anche sul volto, perché questo in un certo qual modo la cancelli, ne cancelli l’identità.
Al termine di questo esplicativo ma doloroso intervento, si svolge l’interpretazione di Sabrina Azzuini di un bambino e una bambina che crescono, si conoscono, si piacciono e si fidanzano sino ad arrivare al matrimonio. Quando lui comincia a dare segni di squilibrio pretendendo di controllare il telefonino di sua moglie, commessa in un negozio di vestiti: vuole impedirle di lavorare, finché una sera – dopo che lei è rientrata un po’ più tardi del solito dal lavoro – lui la picchia per la prima volta; ma diventerà un’abitudine, almeno finché Valentina non troverà la forza di reagire, denunciare e andarsene via di casa. Solo allora Valentina torna a vivere e a credere ancora nell’amore.
Dopo alcuni interventi da parte del pubblico, che ha avuto così modo di raccontare anche esperienze personali, la parola passa alla dottoressa psicologa e psicoterapeuta Viviana Conti, che enumera le fasi dell’amore e passa poi a sottolineare la gravità dei danni inferti ai figli qualora assistano a episodi di violenza entro le mura domestiche: in genere il violento di turno infligge loro una sentenza a proposito della madre, che se l’è meritato, mentre giura che verso di loro non potrebbe mai fare lo stesso. I figli entrano così in confusione e probabilmente assistono a errori che ripeteranno un giorno, se questi si sono presentati a loro come la normalità.
Se poi i figli diventano orfani a causa del femminicidio, sono conosciuti come “orfani speciali”. E quando vengono affidati ai parenti, in un 20% dei casi, questi sono paterni; un’assurdità che porta solo a situazioni confuse.
La dottoressa conclude il suo intervento dicendo: mai pensare che dopo uno schiaffo, sia finita lì.
E’ di nuovo l’avvocatessa a parlare e stavolta lo fa a proposito di stalking, tracciando il profilo dello stalker (in genere uomo, di 40 o 50 anni, ben inserito nella società) e sottolineando che costui è in genere chi non ha accettato la fine di una relazione. Relazione, non amore: non si confonda questo stato di cose, perché in questi casi si percepisce l’altra persona come un oggetto.
Costoro non sopportano l’idea di perdere il controllo dell’ “oggetto”.
Gli interventi di magistrati, carabinieri e polizia sono solo a volte efficaci, mentre per la restante parte delle volte si arriva a una stima di una donna uccisa ogni due giorni.
Oltre al profilo dello stalker, l’avvocatessa esplica la figura dello psicopatico, delineandolo come un individuo privo di emozioni e di paure, capace di compiere i gesti più terribili senza sentimento.
Cita infine il caso di Carmela Morrino, donna uccisa all’età di trentacinque anni, storia che, dice, la tocca profondamente, tanto da indurla ad alzarsi in piedi per raccontarcela. La signora Carmela Morrino è stata uccisa nel 2015. È la terribile storia di un uomo che, sentitosi messo da parte alla nascita del figlioletto, inizia a tormentare quest’ultimo in ogni modo, sino a spingere la madre, che nel frattempo è in attesa di una bambina, a chiedere la separazione.
L’uomo l’incontrerà un’ultima volta davanti all’abitazione, dove, la ucciderà davanti ai figli.
L’avvocatessa ci informa di avere scritto un libro al riguardo. E ci dice che sì, all’uomo sono stati dati trent’anni e, sì, si parla di ergastolo qualora scoprissero che era connivente, ma intanto, sottolinea, la signora Carmela Morlino è morta.
Verso la fine dell’incontro assistiamo alla proiezione del video “Di non amore si muore”, cortometraggio girato da Elisa Cucina e interpretato da Elisabetta Bruni; le immagini sono quelle di due donne, Lucia e Anna, che subiscono atti di violenza da parte del coniuge. Lucia trova la forza di reagire e di denunciare e si salva. L’altra, Anna, non ce la fa. E muore.
Viola Banin