Il tecnico della Roma Eusebio Di Francesco ha parlato oggi ai microfoni di Roma Radio, l’emittente radiofonica giallorossa. Queste le sue parole:
Secondo lei, a che punto è la Roma nel suo processo di crescita?
“Non mi piace guardare indietro a quello che è stato. Guardo sempre avanti, abbiamo creato una bella atmosfera ed è la cosa più importante quando si lavora. Vengo con grande piacere la mattina presto a Trigoria. Parto dalla ristorazione e arrivo ai magazzinieri, salutando tutti, quando si lavora con piacere il resto vien da sé e viene meglio”
Oltre i risultati, se la immaginava così la sua avventura alla Roma?
“Cerco di rimanere sempre me stesso, portando il mio metodo e le mie idee senza però stravolgere le cose nel posto dove arrivo, cercando di far capire quello che voglio e che tipo di persona sono, una persona che vuole costruire e non distruggere. A volte ci si arriva prima, a volte serve più tempo. Questi concetti sono entrati presto nelle teste dei calciatori e dei tifosi, anche a Trigoria tutti mi guardano con il sorriso e spero che questo non cambi con qualche risultato negativo. Le vittorie e le sconfitte bisogna essere capaci di trattarle allo stesso modo, detto che ovviamente mi auguro di perdere il meno possibile. Ma a volte anche una sconfitta può essere salutare, in certi contesti può farti svoltare, come è successo a noi contro il Napoli, in quel secondo tempo. Dal punto di vista mentale ci ha dato tanto quella partita”.
Il Sassuolo è diverso dalla Roma: un’oasi felice, ma con calciatori di livello diverso rispetto alla Roma, piena di campioni. Con loro il dialogo è diverso?
“Per me è importante come ci si pone, il calciatore vuole chiarezza e coerenza, ma allo stesso tempo sono importanti le competenze e la conoscenza. Oggi i calciatori vogliono sapere il perché di certe scelte, hanno internet, sono più informati. Credo però che sia sbagliato giudicare un allenatore valutando solo la partita della domenica: bisognerebbe guardare tutto il lavoro settimanale, di cui il match rappresenta solo la parte finale”.
Sul turnover: i calciatori si sentono tutti partecipi. Forse questa è la prima vittoria nella costruzione di un gruppo.
“Senza ipocrisia, l’allenatore sa qual è la formazione tipo e quali sono i calciatori più avanti nelle gerarchie. Però in tutti c’è un percorso. Quello che hanno capito i ragazzi non è tanto il discorso del turnover, hanno capito soprattutto che conta di più il risultato di squadra di quello del singolo. Poi esce sempre fuori l’aspetto individuale, io li capisco. Per me già il solo ammorbidire questo aspetto è importante”.
Il turnover è possibile anche grazie alla qualità della rosa: parliamo di giocatori forti in ogni ruolo.
Abbiamo fatto una scelta precisa, avere due titolari per ruolo, anche con caratteristiche diverse tra loro. Non metto troppi giocatori nuovi tutti insieme, devo valutare diversi aspetti, compreso il carattere dei calciatori e le loro capacità di leadership. La sconfitta di Vigo ne è un esempio: era troppo presto forse per mettere in campo tutti quei calciatori nuovi, sono stato massacrato ma era un momento particolare e sono stato giudicato forse troppo presto. Anche quello era un momento di crescita.
La parola d’ordine è “non accontentarsi”
“Oggi ancora di più, lo dirò ai miei ragazzi. Roma è questa, con i suoi pregi e i suoi difetti. Spesso si va oltre il singolo momento, ci si esalta troppo facilmente. Va bene esaltarsi, è un aspetto positivo, è importante, ma non dobbiamo esagerare. Pretendo il massimo dai miei, dobbiamo dimostrarlo tutti i giorni il nostro valore”.
Oggi è giovedì, domenica c’è il Chievo Verona. Lei ha già una formazione in testa a pochi giorni dalla partita? Come si comporta in questi casi?
“Tendenzialmente sì, ma poi ci sono anche le condizioni fisiche dei ragazzi, ho instaurato un rapporto ottimo con i calciatori e mi dicono come stanno, se si sentono i 90′ nelle gambe o se non sono in ottime condizioni. Spesso faccio una formazione che sorprende all’esterno, magari ci sono dei calciatori che mi hanno detto di non sentirsi al 100%. A volte scelgo ugualmente un giocatore non al meglio, perché magari mi serve in quella partita, ma è importante per me il confronto con lo spogliatoio”.
Le ha viste ieri le partite?
“No, ieri sono stato in Vaticano ed è stata una bella giornata. Poi sono andato a cena con la mia famiglia e i miei amici. Non ho visto niente. Stacco spesso dal lavoro, non bisogna vivere il calcio con “quantità” ma con “qualità”. Per me è importantissimo non vivere solo di calcio”.
Quanto conta lo studio dell’avversario per lei?
“Le qualità dell’avversario sono importanti, i ragazzi devono sapere chi affronteranno. Per esempio il Qarabag ha inserito Ismayilov a sorpresa e prima della partita con Simone Beccaccioli abbiamo fatto vedere a Kolarov quale giocatore avrebbe affrontato sulla sua fascia. I giocatori devono sapere chi hanno davanti, ma partiamo da un presupposto: noi siamo più importanti di loro, non cambiamo la nostra mentalità, pur tenendo presente le qualità dell’avversario e stando attenti a quei particolari che possono fare la differenza. Anche questa è condivisione. Al Kolarov è stato chiesto: “Vuoi vederlo?”. Lui non solo ha risposto di sì, ma ha visto anche di più di quello che avevamo preparato”.
Esiste nella sua testa quella caratteristica che la Roma non ha ancora migliorato e che potrebbe farci salire uno scalino importante?
No, secondo me possiamo crescere nella ricerca della verticalità, dove però già siamo migliorati. Dobbiamo forzare di più le giocate, potevamo fare qualche gol in più. Ce li abbiamo nelle nostre corde quei gol. In due partite abbiamo fatto quasi 60 tiri, si può migliorare.