La “vicenda Di Mario” si fa sempre più complicata. Se da una parte ci sono ex lavoratori in cassa integrazione, gli ex fornitori e gli acquirenti degli appartamenti in costruzione bloccati da più di un anno, ormai uniti anche nelle manitfestazioni di protesta, dall’altra ci sono le Procure di Roma, Velletri e Perugia che indagano sui cosiddetti “fallimenti pilotati”. In mezzo, le banche, ma anche consulenti, tecnici e funzionari dai compensi stratosferici. Ad occuparsi proprio oggi della vicenda è il quotidiano “Il Centro” di Teramo, con un articolo di Lorenzo Colantonio, segnalato dal blog dei dipendenti Di.Ma., tra i più interessati allo sbrogliarsi dell’intricata faccenda. Il quotidiano pone l’accento sul ruolo del gruppo bancario Tercas (Cassa di Risparmio di Teramo), che adesso richiede indietro i 23 milioni di euro prestati a Raffaele Di Mario. La banca abruzzese di unisce quindi a Unicredit, Italease e Bnl, tutte creditrici dell’ex “Re Mida” pometino. “Per un crac romano di 800 milioni la Tercas chiede indietro una fortuna: 23 milioni prestati all’imprenditore Di Mario. Il 13 aprile a Roma ci sarà l’udienza clou per la ricognizione dei debiti di Raffaele Di Mario, considerato il più grande bancarottiere italiano degli ultimi anni. E fra le trenta banche che gli hanno dato credito è spuntata, un anno fa, anche la Cassa di Risparmio di Teramo. Per questa vicenda l’ex direttore generale Tercas, Antonio Di Matteo, è stato sentito dalla Guardia di Finanza di Giulianova come teste – scrive Colantonio sulle pagine de “Il Centro” – Le banche non sono solo parti offese ma, da una settimana, sono anche coinvolte penalmente. La procura di Roma ha inviato 5 avvisi di garanzia a vertici di istituti di credito ipotizzando la bancarotta preferenziale. In parole semplici: pressioni da istituti di credito sull’imprenditore fallito per farsi restituire mutui milionari. L’indagato del crac romano avrebbe quindi distratto fondi del fallimento destinati a creditori privilegiati per soddisfare le banche. Ma la via legale per ottenere indietro i prestiti d’oro era un’altra. Il 14 marzo scorso, infatti, al tribunale fallimentare della capitale è scaduto il termine per le domande di insinuazione al passivo della Dima Costruzioni, la principale società del crac che ha evitato il fallimento in limine litis grazie all’intervento dell’ex ministro dello Sviluppo, Paolo Romani. La Dima ottiene l’amministrazione straordinaria, sotto il controllo del professor Andrea Gemma, ex collega universitario di Angelino Alfano”.
“Finalmente – commentano gli ex dipendenti dal loro blog – viene alla luce il vero ruolo che hanno avuto le banche nell’intera vicenda, come avevamo più volte denunciato sia noi che i fornitori, banche che non sono solo parti offese ma, da una settimana, sono anche coinvolte penalmente. La procura di Roma ha inviato 5 avvisi di garanzia a vertici di istituti di credito ipotizzando la bancarotta preferenziale. In parole semplici: pressioni da istituti di credito sull’imprenditore fallito per farsi restituire mutui milionari. L’indagato del crac romano avrebbe quindi distratto fondi del fallimento destinati a creditori privilegiati per soddisfare le banche”. Ed intanto i dipendenti non venivano pagati. “Insomma – concludono dal blog – anche la Procura di Roma ha deciso finalmente di scavare in fondo a tutto questo mare magnum di anomalie che da circa un anno stiamo denunciando da queste colonne!!! Siamo curiosi di conoscere i prossimi sviluppi, certo è che la Class Action che stiamo portando avanti insieme ai fornitori e gli acquirenti di Parco della Minerva appare adesso ancora più giustificata. E se poi la Magistratura accerterà che sono stati distratti questi fondi, che servivano per pagare i nostri stipendi e il lavoro dei fornitori, chi ne risponderà? Chi ci risarcirà? E chi sarebbero questi “creditori privilegiati” a cui sono andati questi soldi? Fortunati loro, ci piacerebbe conoscerli per sapere come hanno fatto!”.